giovedì 14 luglio 2011

Qui dentro Ci Si Skiaccia!

Spunta una foto: il sottoscritto, primi anni ’90. In testa, sopra il berretto puntato a sud, cuffie due volte più grandi delle orecchie collegate ad un Sony Walkman agganciato alla cinta dei pantaloni che fa fatica a tenere su, allo stesso tempo, le brache e il marchingegno. Tutta colpa di una musicassetta, la prima duplicata da un cugino più grande e più scafato di me che guardavo con un misto di ispirazione e invidia. Da quell’improbabile lettore pratico come un’edizione tascabile di “Guerra e pace”, sparo letteralmente in cuffia “La mia moto”, secondo album di Jovanotti. Prima di allora erano state le musicassette dello Zecchino d’Oro ad avermi sconvolto l’esistenza; tutti quei canti innocenti, quell’allegria perenne, quei bimbi dinamici come i manichini della Upim: il Piccolo Coro dell’Antoniano era la mia terra promessa; giocattoli, biscotti e rock‘n’roll.
Poi arrivò lui, uno spilungone con la “s” offesa, giubbotto da baseball e felpa legata in vita che stendeva rime veloci e sghembe su basi martellanti. Dopo il primo ascolto abbandonai all’istante l’età dell’infanzia; a quel punto avevo visto l’America: pretendevo un Harley e volevo essere il capo di un’ipotetica banda.
Lorenzo Cherubini aveva sdoganato gli USA in Italia condensando ingenuamente nella sua figura l’immaginario della “street culture” delle metropoli americane, un mix di rap e skate park, muri colorati da graffiti e potenti motociclette truccate. L’effetto sui ragazzini, soprattutto su quelli di provincia, fu devastante. A me sembrò di aver scoperto un mondo intero.
Ho sempre avuto la sensazione che i miei capissero cosa stessi provando, nonostante viaggiassero in macchina con un invasato sul sedile posteriore che aveva requisito lo stereo della loro Fiat 127 per gasarsi sulle note di “Ci si skiaccia”. Quello stile, quella sfrontatezza, quel disordine dialettico tra le rime, stavano creando un nuovo ed inevitabile spartiacque generazionale, il mondo adulto da una parte e quello dei giovani dall’altra, qualcosa che anche loro dovevano aver provato. Probabilmente ballando e cantando “Prisencolinensinainciusol”. Jovanotti divenne l’Adriano Celentano della nostra generazione.
La critica, ovviamente, provvide a smontare minuziosamente pezzo per pezzo  questo “simbolo del disimpegno giovanile”.
Ma, onestamente, chi avrebbe scommesso all’epoca sul futuro del Jovanotti cantautore e sulla sua crescita artistica? Forse nemmeno mastro Cecchetto dopo aver ascoltato le evoluzioni di “Penso positivo”. E invece le esperienze, i libri divorati, i  viaggi, la paternità, i lutti, la politica, la religione, cambiarono il senso delle cose, la totale prospettiva del percorso. Jovanotti diventava sempre meno Jovanotti per trovare sempre più Lorenzo. Una crescita personale autentica, sintetizzata in musica con dischi come “L’albero” e “Capo Horn” fino all‘ultimo “Ora”, che hanno accompagnato la nostra crescita in un continuo viaggio parallelo, il suo e il nostro. Credo stia qui il senso di questa storia, quella di un ragazzo che per sua stessa ammissione non aveva alcuna dote particolare come cantante, ma che sentiva di poter comunicare vita.
Quella musicassetta duplicata, miracolosamente, è ancora qui. Dentro, tra i titoli scritti a penna, c’è un mio appunto che recita: “grazie Jovanotti. Ti voglio bene”. 
Cavolo se gliene voglio ancora.

5 commenti:

  1. uff, non riesco a postare un commento, problemi di blogger...

    cmq, dicevo, parere su jovanotti espresso con molta onestà da parte di frank...

    certo, non tutti sono d'accordo eheheh! (vedere post su badly drawn boy sul mio blog...)

    indierocker

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  2. Io concordo con l'evoluzione di Jovanotti, a risentire (e rivedere) adesso le sue performance di Gimme five mi viene da ridere a ganasce spezzate (bella immagine eh? :D )

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  3. mha quanta indulgenza per un mentecatto simile. sarò radicale ma l'unico posto in cui lo vedo bene sarebbe a pulire i servizi igenici del mc donald a tempo determinato e turno pieno 7 giorni su 7.

    pace e bene fratelli

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  4. @Indie: eh vabbè, come ti ho già detto, al massimo mi adeguerò a quello stile! Non posso pretendere che la gente sia "talmente" sensibile da comprendere una sensazione legata ad un ricordo.
    Poi però non mi sorprenderei affatto se questi tizi canticchiassero in macchina le sue canzoni...

    @Baol: in effetti è così. Al concerto ha appena appena accennato "Ci Si Skiaccia"; ero pronto a fare il passetto ska ma si è subito fermato...peccato! :)

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  5. TUTTO PER 'O STESSO: PPPPPPRRRRRRRRRRRRRRRRRRRR!!!!!!!!!!!!!!!
    Sere

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