giovedì 20 ottobre 2011

Stay "angry", stay foolish.

Questo paese è vecchio. E si sta spaccando.
Da una parte il nuovo che avanza tra indignati e violenza, quest’ultima figlia tanto dell’ignoranza quanto della disperazione. Dall’altra l’Italia dei vecchi. Quelli della senilità d’animo, dell’appagamento garantito, dal futuro omologato.
La tv diventa allora il palcoscenico di uno scenario decadente, alimentato da due forze in campo in una battaglia per il terreno del presente.

Giampaolo Pansa, noto giornalista, era tra gli opinionisti de “La Vita in Diretta” qualche pomeriggio fa. Tema della puntata: il precariato. Marco Liorni, che conduce, apre con il servizio dedicato ad un ragazzo precario. Quotidianità in bilico e sacrificio, questo il sunto del filmato. Al rientro in studio, Liorni chiede un commento a Pansa che liquida la vicenda del protagonista riassumendola come la tipica vita da “sfigato”.
“Sfigato”. Questa la sua mera opinione guardando un ragazzo che tra lavori per la sopravvivenza sogna un futuro diverso, migliore (leggo ora tristemente sul suo blog che Bruno, questo il suo nome, sarà costretto a nuovi sacrifici per colpa dello stesso servizio mandato in onda). Nello studio, ospiti anche loro, dei ragazzi precari; studenti perlopiù provenienti da facoltà umanistiche. Anche le loro storie simili a tante altre: studio, lavori mal pagati, una laurea, tanti sogni. E qui Pansa, evidentemente ispirato, prosegue con la sua linea di ferro: bolla le università come “vie al fallimento”, auspica che il presidente del consiglio tolga “valore legale alle lauree, soprattutto a quelle umanistiche” e invita i presenti a “darsi da fare, a partire da domattina, lasciando stare sogni fatui”.

Alla base della (delirante) predica del sig. Pansa ci sarebbe a suo avviso un ragionamento logico: “la crisi come dato di fatto”. Prendere coscienza della situazione, rinunciare ad un percorso per affrontarne un altro. Da una parte lo stato che risparmia annullando il ruolo delle università, dall’altra nuova forza lavoro per il paese. Sporcarsi le mani insomma, andare a produrre qualcosa di concreto. E qui, come in un assist colto al volo, la regia ricama un servizio in diretta da una pasticceria, l’ennesimo invito a constatare che di lavoro ce n’è, che si guadagna bene, ma che bisogna aprire gli occhi per rendersene conto.

Eccola qui la soluzione, signori. La tv che riacquista la sua funzione sociale spiegandoci cosa va fatto, come comportarsi. Un teatrino ben noto, ormai. Facile, troppo facile collocarsi nella posizione di chi è in grado di indicare la via pubblicizzando quotidianamente personaggi privi di morale ed etica, gente da reality, figuranti trogloditi, esteti del cattivo gusto e arrivisti di prima classe. Quale lavoro? Quale sacrificio? Quale dignità per tali figure? Interrompete le trasmissioni! A lavare la coscienza, di corsa per piacere!

Ma dobbiamo capire, è una questione di opportunità per l’amor di Dio, non per altro! Lo ribadisce Pansa, poco dopo: “non siamo mica nel dopoguerra, durante gli anni di crescita. Li c’era bisogno di cronisti, così dopo la laurea in scienze politiche mi chiamarono a “La Stampa” e iniziai. Ora non è così, occorre altro, mettetevelo in testa voi studenti!”.
Opportunità. Tutto si riduce a questo allora. Eccolo sintetizzato in maniera esemplare il sistema Italia: raccogliere un’opportunità, ma, attenzione, qualunque essa sia, a qualunque condizione, a qualunque costo, per il bene proprio ma soprattutto del paese stesso e delle poltronissime in prima fila del parlamento.

E delle ambizioni? Cosa ne faremo? Dello studio, della ricerca, del progresso che solo un’istituzione come l’università può fecondare? È qui, tra questi due poli, tra l’offerta delle loro opportunità e le nostre ambizioni che la linea di demarcazione tra una generazione arrivata ed una che spinge arrabbiata pone un confine. È qui che il confronto tra le due parti diventa evidente, prende le misure e ci divide, proprio come negli anni ’60: loro e noi. Due mondi, due visioni contrapposte. Una incapace di alzare la prospettiva dello sguardo perché stanca e appagata. L’altra cosciente del pericolo di restare cieca.

Difficile riuscire a stabilire un confronto alla pari. Soprattutto se il vecchio intimorisce il nuovo spaventandolo. Perché mentre Pansa attacca, i ragazzi nello studio frenano, forse per timore reverenziale. Provano a controbattere, timidamente. Ma finiscono per perdere un’occasione, lasciando che sia un altro opinionista a mediare per loro, senza attaccare. Quanto di più sbagliato potessero fare.

È arrivato il momento di sovvertire il sistema. Di modificare lo stato delle cose. Basta ascoltare i consigli di una generazione che ha fatto il suo tempo. Che è soltanto capace di suggerire di ravvederci sulle nostre scelte, umiliando dei ragazzi sapendo di farlo. Una generazione che non coglie il mutare della società ancorata com’è a sistemi antichi e a cui sfugge ogni legame con le esigenze e i significati della contemporaneità.
Ma soprattutto, che comincia a perdere seriamente i colpi:

Liorni invita la regia a mandare un filmato. È il video, ormai famosissimo, del discorso di Steve Jobs alla Stanford University. Il focus è su quelle cruciali parole finali: “stay hungry, stay foolish”.
Rientro in studio. Liorni chiede un commento a Pansa, che analizza così: “un bel discorso, però credo che la fame sia un discorso vecchio. Prima la fame la faceva il sud del paese, ora più o meno stanno bene. Sulla follia, non so. Non sono folli i giovani. Sono sprovveduti”.
Nessuno replica. È tutto vero signori.

Se non ora la Rivoluzione, quando?

3 commenti:

  1. Io e te ne abbiamo già parlato abbondantemente, di quanto ci abbia stancato questo sistema vecchio, con questi signorotti sistemati che ci guardano dall'alto in basso con la bocca piena solo di insulti e giudizi. Com'è facile parlare per loro, figli di un boom economico che richiedeva figure professionali come il pane, lo stesso pane che oggi noi speriamo di portare a casa tutti i giorni. Una settimana nelle case di ognuno di noi gli farei fare, una settimana sola, e poi ne riparliamo. Ignoranti.
    Sere

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  2. Noi la rivoluzione non la sappiamo fare, quello che è avvenuto a Roma non è rivoluzione, è imbecillità, per come la vedo io, imbecillità che non ha scusanti.

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  3. @Sere: beh, nient'altro da aggiungere!

    @Baol: Sono d'accordo con te. Perchè non sta scritto da nessuna parte che la rivoluzione vada innescata con la violenza, a meno che questa non sia necessaria come difesa ad un'altra violenza.
    Quando parlo di rivoluzione lo faccio invitando tutti a puntare lo sguardo al di là del proprio orticello pseudo-felice, di tornare a sentirci una comunità offesa dalla politica e dalle istituzioni e, insieme, ripartire dal basso per correggerne le storture. E questo è possibile soltanto con una nuova solidarietà generazionale. Uotopia? Non credo, non posso pensare che la tv del Silvio abbia lobotomizzato le coscienze a tal punto da farci preferire quell'orticello privato di cui prima, con annessi e connessi.
    Un pò di coraggio, un pò di "follia", anche per queste cose.

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